La violenza inavvertita: <i>Graziella</i> di Ercole Patti
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Abstract
Il romanzo Graziella di Ercole Patti, del 1970, racconta la storia di un quarantenne che ha relazioni sessuali con una ragazza di tredici e una di quattordici anni in un periodo in cui l’età del consenso era fissata, a seconda dei casi, a quattordici o sedici anni. Narrato in terza persona dal punto di vista del protagonista, il romanzo presenta Giuseppe più come vittima di ragazze spregiudicate che come abusante. Analizzo quel punto di vista—inaccettabile nell’Italia di oggi ma condiviso da un ampio numero di critici negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso—segnalando i limiti personali del personaggio (mancanza di empatia, attribuzione ad altri di sentimenti che Giuseppe rifiuta di riconoscere in sé) e la parziale accettazione collettiva di questi tipi di violenza sessuale nell’Italia degli anni ’30 (quando il romanzo si svolge) e ’60 (a ridosso dei quali fu scritto). Non interpreto il romanzo, ambientato a Catania, in chiave regionale ma vedo in questa storia l’esempio di una generale riluttanza all’aggiornamento morale che sembra aver attanagliato a volte l’Italia, soprattutto in casi che riguardavano i diritti dei minori. Di quella riluttanza Patti coglie bene gli aspetti collaterali: indolenza, conformismo, piacere del quieto vivere, incultura. L’articolo contiene anche un’analisi parallela di Graziella e di Un bellissimo novembre, un altro romanzo di Patti che racconta una storia analoga invertendo il genere dell’abusato (maschio e non femmina) e dell’abusante (femmina e non maschio) con interessanti implicazioni.